Balme-Sentiero Natura Val Servin
Escursionismo
Escursionismo
quota minima: m 1446
quota massima: m 1600
ore di percorrenza: 2
periodo consigliato: tutto l’anno (a piedi o con racchette da neve)
Un breve percorso che porta a scoprire le tracce di un antico insediamento umano: incisioni preistoriche, un’antica ghiacciaia, un villaggio abbandonato dove s’insediarono nel medioevo minatori di origine savoiarda, bergamasca e valsesiana. Tutto in un ambiente incontaminato, tra grandi boschi di faggi e di larici, pareti rocciose e cascate di ghiaccio, dove non è raro vedere le impronte degli aironi intenti a pescare nelle pozze gelate del torrente, per non parlare dei camosci e dei caprioli e di tanti altri abitanti del bosco (non esclusa la lince…).
Lungo il percorso sono posizionate delle bacheche illustrative ove vengono citati riferimenti storici e naturalistici. Il sentiero, fattibile anche durante il periodo invernale,è provvisto di adeguata segnalazione con cartelli recanti il simbolo delle racchette da neve e di lunghi pali per segnalare il percorso in occasioni di grosse nevicate.
Dalla piazza di Balme, di fronte alla chiesa parrocchiale (che merita anch’essa una visita), si segue la carrozzabile che porta alla frazione Cornetti, situata sul lato opposto della valle, passando accanto a una piccola sciovia. Attraversare la frazione fino al posteggio lungo il Rio Paschièt.
Già esistente nel XIII secolo, la borgata è il più alto abitato permanente delle Valli di Lanzo e uno dei meglio conservati. Soprattutto la parte interna presenta numerose abitazioni profondamente interrate, a difesa contro il freddo, e stretti vicoli tortuosi, detti quintàness nel locale patois francoprovenzale, quasi interamente coperti dagli spioventi dei pesanti tetti di lose, in modo da offrire protezione sia dal vento sia dalle copiose nevicate. Alcune case ancora recano le insegne di attività commerciali ed artigianali ormai remote nel tempo, ma la frazione ospita tuttora alcune stalle dove in inverno prosegue l’allevamento di bestiame secondo le modalità tradizionali. Di particolare interesse la cappella di S. Anna, dove sono custoditi numerosi ex-voto ed alcuni affreschi recanti gli stemmi delle famiglie Martinengo e Castagneri e l’antico Lazzaretto, ora trasformato in stalla, sormontato dall’immagine della Vergine e Santi, dove i malati venivano raccolti in occasione delle pestilenze (l’ultima volta fu in occasione dell’epidemia di febbre spagnola nel 1918).
Dalla piazzetta al centro della borgata (detta Airëtta, dove si faceva la battitura della segale) inizia la segnalazione del percorso, che sale lentamente fino a raggiungere le case più alte. Si raggiunge così un breve pianoro detto Pra Sec. Di qui la vista spazia sul vecchio centro di Balme e sulla grandiosa parete che sovrasta il paese (Ròtchess d’Bàrmess). Attorno al grande muro paravalanghe che protegge il villaggio, spesso è possibile scorgere branchi di stambecchi che in primavera scendono fin presso le case. La salita riprende piuttosto ripida, fino a raggiungere le case Arbosëtta m 1539, capolinea della piccola sciovia del Pakinò, oltre il quale si apre il vallone di Servìn. Il percorso prosegue in leggera discesa fino alla borgata Li Fré (che significa “i fabbri”)m 1495. E’ questo un insediamento fondato nel secolo XV da minatori bergamaschi e valsesiani venuti a sfruttare le miniere di ferro del monte Servin.
Attraversata la frazione, si prosegue in direzione delle case Kiòss, per raggiungere l’imboccatura di una miniera abbandonata, dalla quale veniva estratto minerale di talco. Prima di giungere alla miniera può essere interessante soffermarsi davanti ai resti della baita del Casoùn, interamente costruita sfruttando un grande riparo sotto roccia come tetto. Questi ripari sono detti bàrmess e da essi deriva il nome di Balme.
Lungo tutto il percorso non e’ infrequente incontrare gli animali che in gran numero popolano la zona. Tra questi la poiana e’ probabilmente il volatile che si presenta con il maggior numero di esemplari.
In un fitto bosco, il sentiero prosegue verso l’alpe Tchavàna, per poi discendere fino al fondovalle, in prossimità di un’immane roccia attraversata da una gigantesca fenditura. Annidata alla base della rupe sorge la baita Li Soùgn (gli acquitrini), m 1518. Di fronte alla baita, alla sommità un masso annerito dal fuoco, si possono scorgere coppelle incise nella roccia, a testimonianza dell’antichissimo insediamento umano nel luogo. Il percorso prosegue costeggiando il torrente, che si attraversa su una passerella in legno in corrispondenza della suggestiva Lama dou Cartràt (il termine làma significa pozza d’acqua formata da un corso d’acqua). Si giunge in breve alle cascate del Rio Pountàt, che d’inverno si tramutano in palestra di ghiaccio. Altro incontro possibile è quello con gli aironi intenti a pescare dal bordo delle pozze ghiacciate. Si attraversa quindi la testata del vallone, superando il torrente Paschièt su una rustica passerella di legno.
Si raggiungono così le baite di Piàn Salé (m 1600) dove si incrocia il sentiero GTA che porta al Col Paschièt, in direzione di Lemie. La pista scende ora lungo il lato destro del vallone di Servìn, fino ad attraversare il ripidissimo canalone della Riva Loundji, percorso, ad ogni caduta di neve, da una grande valanga che precipita direttamente dalla cima del Monte Fort. Con un po’ di fortuna, nella parte alta del canalone, si possono vedere camosci. Sempre in leggera discesa, si attraversano ampie praterie (l’Sàgness, che significa “gli acquitrini”) e poi un versante esposto ai venti di settentrione e per questo chiamato
Tiralòra. Entrati in un fitto bosco di faggi si giunge all’estremità superiore di un pendio erboso assai ripido, che in passato serviva per far rotolare i tronchi d’albero, il cui nome lou Rountch, ricorda l’opera di disboscamento e dissodamento. Il panorama torna ad allargarsi e si scorge la vetta della Ciamarella, massima elevazione delle Valli di Lanzo (m 3676).
Seguendo un sentiero tra salti di rocce, si scende fino alla ghiacciaia, chiusa da una rustica porta di legno che permette di accedere a una galleria e un anfratto naturale della montagna che poteva essere riempito di neve attraverso un pozzo naturale. La neve durava tutta l’estate e veniva utilizzata per conservare le carni. Si risale quindi il torrente fino alla radura di Pian Tchurìn, dove una caratteristica sorgente richiama spesso la presenza di animali selvatici; di qui si raggiunge in breve il bel ponte in legno detto Pount Bianc. Il ponte, come altri, è stato ricostruito da un gruppo di giovani volontari di Balme diretti da un anziano del luogo, Michele Castagneri Tucci, che ha trasmesso loro un sapere tecnologico vecchio di secoli ma tuttora efficace.
Ritornati alla frazione Cornetti, si risale la borgata, passando accanto alla fontana del Corn, che ricorda nel nome quello della famiglia di minatori (i Cornetto) che fondarono l’insediamento nel XIII secolo. Si osservi la bella pavimentazione in pietra (lou stèrni), realizzata nel 1996 da un abile artigiano della valle, Giovanni Cristoforo detto Ninétou.
Ritornati al Pra Sec, si segue la pista pianeggiante che attraversa la sciovia e si inoltra nella gola della Gòrdji, dove le acque dello Stura precipitano fragorosamente in una cascata alta alcune decine di metri (nei pressi si vede l’antica condotta forzata e centrale elettrica inaugurata nel 1909 e ancora in uso!). Oltrepassato il ponte sulla cascata, si giunge in pochi minuti nel vecchio centro di Balme, che merita una breve visita.
Borgata Li Fré (i fabbri)
L’insediamento fu fondato nel secolo XV (nei pressi della piazzetta si conserva una lastra di pietra che reca la data 1486) da minatori bergamaschi e valsesiani venuti a sfruttare le miniere di ferro del monte Servin, a quasi 3000 metri di altezza. Il minerale veniva trasportato a valle mediante apposite slitte e subiva una prima riduzione in una rustica forgia che sorgeva nel pianoro sottostante le case. Il metallo veniva in parte lavorato sul posto, in parte trasportato in bassa valle, dove veniva trasformato in serrature (a Ceres) e in chiodi (Mezzenile, Pessinetto e Traves). Nel XVIII secolo le miniere furono ricoperte da un piccolo ghiacciaio (Vedretta di Servin, ancora esistente pur se in via di estinzione), mentre cominciò a scarseggiare la disponibilità di legname da trasformare in carbone di legna per alimentare le forge. Per questi motivi l’attività di sfruttamento minerario declinò rapidamente e i Balmesi dovettero riconvertirsi ad una misera economia di agricoltura d’alta montagna, In tempi più recenti il villaggio dei Fré cessò di essere abitato in permanenza e divenne uno dei tanti insediamenti temporanei della transumanza estiva. La perfetta muratura a secco di molte case testimonia la perizia dei minatori che costruirono il villaggio, mentre la tipologia delle abitazioni, meno interrate, e con aperture più ampie di quelle dei Cornetti, conferma l’originaria destinazione ad attività artigianali e non agricole della popolazione. I balconi in legno sono un’aggiunta del secolo XVIII, quando la riconversione forzata all’agricoltura rese necessaria l’essiccazione dei cereali, che spesso la rigidità del clima obbligava a mietere prima della completa maturazione.
La Ghiacciaia
Chiusa da una rustica porta di legno che permette di accedervi, la ghiacciaia e’ composta da una galleria che adduce ad un anfratto naturale della montagna.Un pozzo verticale collega la caverna con uno spiazzo soprastante; su di una balza rocciosa nel periodo invernale si faceva colare dell’acqua, formando del ghiaccio. Questo veniva staccato e fatto cadere attraverso il pozzo direttamente nella caverna dove durava tutta l’estate ed utilizzato per conservare le carni quando non esistevano ancora i frigoriferi.Una piccola teleferica (di cui si intravede ancora la partenza) portava direttamente al paese il ghiaccio.